Giovane fotografo pugliese Nicola Vinci (Castellaneta di Taranto, 1975) allestisce i suoi set fotografici con una poeticità e una sapienza di particolari che rendono la sua pratica artistica unica nel panorama italiano contemporaneo.
Per la mostra alla Galleria Emmeotto Vinci ha prodotto un nuovo ciclo di lavori nei quali i soggetti sono visioni trasposte, Transfert che raccontano, nell’assenza del soggetto, un ritratto dello stesso svolto attraverso luoghi dislocati nel tempo e nello spazio, ma il cui immaginario ci rimanda per metafora al protagonista.
Bartolomeo Diaz è raccontato dall’immagine di un interno scolastico, due finestre divise da un mobile con una pila di libri e un mappamondo. La cucina fatiscente dai toni rossi e un caminetto al centro è la metafora di Heinrich Himmler. Dante Alighieri è raffigurato attraverso una scala di un luogo pubblico con accanto delle brande accatastate. Una stanza profonda con piastrelle a rombi e pareti rosate parla di Antonin Artaud attraverso una finestra, un termosifone e un telefono rosso sopra di esso. Per Napoleone occorre una bicicletta da bimbo lasciata in un luogo abbandonato, per Erich Priebke il fuoco dell’obiettivo coglie una porta aperta e corrosa in un corridoio di un ex carcere. Pinochet è una latrina decadente come il lavandino per Ponzio Pilato è svelato da toni di un verde suadente. Una distesa lacustre offre delle ninfee per Ofelia mentre Albino Mussolini è descritto attraverso una cella di un manicomio dismesso le cui pareti sono piene di foto, cartoline, immagini che richiamano il cane lupo, il lago, le divise, tutti segni di un’epoca e il retaggio di un mistero. Per Peter Pan l’ex stanza di un bambino conserva piccoli oggetti confusi da una carta da parati giocosa alla quale fa da contrappunto l’ambiente severo e spogliato dal tempo e dall’incuria della metafora di Pol Pot. Una sedia da ufficio rossa collocata con sapienza e un lavabo assalito da foglie secche racconta di Pio XII e di tutte le sue mancanze Infine una croce inchiodata ad un'altra porzione di muro lascia la sua traccia tatuata sulla parete a ricordo del iustum facere, ovvero la giustificazione per fede, professata da Martin Lutero.